Una delle maggiori difficoltà della sismica a rifrazione in onde SH è certamente quella dell’energizzazione. Si tratta di una questione faticosa e complicata, il cui buon risultato dipende da una quantità di fattori che vanno dal tipo di sismografo, dalla sensibilità dei geofoni, da loro accoppiamento con il terreno e, in ultimo, ma non per ultimo, dalla manualità degli operatori.
Ognuno di quelli che fanno rifrazione in SH ha un criterio elettivo per energizzare ed è convinto, nel profondo, che il suo sia l’unico ed il solo criterio ‘giusto’, un po’ come avviene con la ricetta del ragù. Ci sono mille ricette, ma la mia nonna lo faceva così, quindi l’unica ricetta è questa!
I metodi ‘scolastici’ per l’energizzazione prevedono l’utilizzo di una traversina di legno ‘gravata dal peso di due persone’: questo comporta una squadra numerosa ed agguerrita, una logistica accessibile, una zappa per preparare il terreno su cui si appoggia la traversina e prepararsi, con tutta franchezza, ad un segnale che sui tiri lunghi si fa un po’ labile. Certamente i rumori spuri sono ridotti ed alcuni interpreti ritengono in ogni modo che il dato sia accettabile. Il ricorso ad autoveicoli che gravano sulla traversina, l’utilizzo di pendoli con masse maggiorate, èlevano notevolmente l’impegno fisico (e la quantità di carboidrati da metter in conto!) ed in certi casi possono anche dare una certa soddisfazione. Alcuni puristi rileveranno che l’autoveicolo produrrà dei rumori aggiuntivi con le ruote non impegnate sulla traversina, oppure che il pendolo, spesso appoggiato su di una ‘capra’, vibrerà come la campana maggiore in giorno di festa. Ed è qui, per stringere, che si arriva al nodo: devo usare tanta energia a costo di fare un po’ di rumore e sporcare il segnale, oppure devo immettere nel terreno poca energia ma perfettamente indirizzata alla mia doppia, sporca, dozzina di geofoni?
Non so dare una risposta univoca.
Vi garantisco che ho provato di tutto: lame infisse nel terreno, fucili sismici modificati per energizzare lateralmente (un disastro), capre, pendoli, mazze da venticinque chili, ed ogni volta ho trovato fatica, carenza di carboidrati, pro e contro.
Poi, come tutti, mi trovo ad applicare la ‘mia’ ricetta, forse indotta anche dall’età che avanza e dalla difficoltà di trovare squadre agguerrite. Generalmente, quando sono sul terreno, faccio le ‘buchette’. Si tratta di scavare (con la zappa!) una piccola trincea larga venti centimetri e lunga quaranta; la preparazione richiede una certa maestria: le pareti laterali devono essere verticali in modo da accogliere la piastra di battuta che deve stare comoda e dritta; erbe, arbusti sassi ed altri impedimenti vanno allontanati. Farlo in un campo argilloso con erba bassa a fine febbraio è quasi un divertimento. In un riporto ghiaioso in un erboso giorno di maggio è un disastro.
Appoggiata la piastra di battuta verticalmente non rimane che energizzare. Bella parola per dire che ci sono da tirare diverse mazzate in orizzontale, un po’ come giocare a golf con una mazza da 10 kg. Fisicamente la cosa è impegnativa, richiede coordinamento, forza e soprattutto precisione, ma con un minimo di allenamento, altrettante battute a polarità invertita e qualche contrattura al grande romboide, il risultato è assicurato. I puristi, al solito, diranno che si generano un sacco di rumori spuri, ma con la mia attrezzatura, la mia doppia sporca dozzina di geofoni e la mia fedele socia al monitor del computer, generalmente i sismogrammi si fanno guardare.
E sull’asfalto? E sulle pietre? E sui sampietrini?
Che dire. Si ricorre al piano B: traversina, autoveicolo, carboidrati eccetera eccetera. Ma sull’asfalto, sulle pietre e sui sampietrini, i sismogrammi sono come certe opere di arte moderna, meglio guardarli a luce spenta!
Studi e riflessioni intorno al mondo dei fenomeni scientifici legati alla geologia, contributi inediti nati dalle nostre esperienze professionali.